L’IMPERATORE A LA CAVA

LA STORIA

UN EVENTO CRUCIALE NEL RINASCIMENTO ITALIANO

Il 22 novembre 1535, la città del la Cava visse uno dei momenti più memorabili della sua storia: l’ingresso trionfale dell’imperatore Carlo V d’Asburgo, il sovrano sul cui impero “non tramontava mai il sole”.

Il re, reduce dalla vittoriosa spedizione di Tunisi contro il corsaro Barbarossa, stava compiendo un viaggio cerimoniale attraverso l’Italia meridionale. Dopo aver soggiornato quattro giorni a Salerno, ospite del principe Ferrante Sanseverino, si diresse verso Napoli, entrò nella città di Cava.

I PREPARATIVI DELLA CITTÀ

I cavesi si prepararono con cura minuziosa per accogliere degnamente l’imperatore:

  • Il sindaco Tommaso Pisapia e otto eletti si riunirono per organizzare l’evento,
  • Furono eretti tre sontuosi archi trionfali: uno all’inizio del territorio cavese decorato con ramoscelli di mirto e “colonnette di broccati d’oro e telette d’argento”, uno alla porta del borgo in legno, e un terzo in muratura con le insegne imperiali
  • I portici del Borgo Scacciaventi furono adornati con arazzi, alloro, rosmarino e agrumi
  • Furono acquistate grandi quantità di vettovaglie: grano, orzo, vitelli, capponi, pavoni, vino pregiato e pesce
  • furono incaricati i giovani di offrire confetti, vino e carne a tutti quelli che passavano nel corteo

L’ACCOGLIENZA E IL DONATIVO

Durante il passaggio dell’imperatore:

  • A Molina, una compagnia di fanti e archibugieri cavesi accolsero l’imperatore con salve e grida
  • A Castagneto, fanciulli da dieci a quindici anni lo salutarono con palme in mano
  • L’imperatore percorse il borgo sotto un magnifico “pallio d’oro e d’argento foderato di taffetà”, sorretto dagli otto eletti, due per distretto

Arrivato alla strada de lo burgo trova un sontuoso arco trionfale decorato con molte colonnette di broccato d’oro e telette d’argento e di velluti colorati e tabelle e lettere latine. Un secondo in legno alla porta del borgo – presso l’attuale piazza S. Francesco – il terzo in muratura, con le insegne dell’imperatore e della città.

  • Il Corteo Imperiale fu accolto dai rappresentanti dell’amministrazione, dai notabili cittadini e dalla popolazione tutta nel 1535 a partire da Piazza San Francesco che porta di accesso del centro cittadino sulla quale si affacciano palazzi gentilizi.
  • Sindaci ed eletti consegnarono un bacile d’oro con bassorilievi delle colonne d’Ercole e delle armi della città, con dentro 3.000 scudi d’oro e due chiavi simboliche, una d’oro e una d’argento.
  • Il corteo imperiale attraversò il borgo Scacciaventi caratterizzato dai caratteristici storici palazzi porticati.

Borgo Scacciaventi, una strada di una “perfetta regolarità”

Eduardo Gauthier Du Lys D'Arc nel suo "Voyage de Naples á Amalfi" (Paris 1829).

Esplorando i privilegi Storici

Durante il viaggio di ritorno dalla spedizione di Tunisi del 1535, Carlo V d’Asburgo entrò nella La città di Cava de’ Tirreni, allora La Cava, con l’esercito spagnolo; in quella occasione ribadì pubblicamente che La Cava era e restava città demaniale – cioè legata direttamente al sovrano, al riparo da infeudazioni – e che tutti i privilegi già concessi dai precedenti re (Ferrante I d’Aragona 1460, Federico d’Aragona 1496, Ferdinando il Cattolico 1507) restavano pienamente validi. La conferma solenne fu registrata a Napoli il 22 marzo 1536 e porta la firma imperiale.

Perché Carlo V d'Asburgo fece una nuova pergamena?

I privilegi, esibiti di continuo nelle liti fiscali, rischiavano di usurarsi o d’essere contestati. La prassi voluta da Madrid era dunque di incorporarli in un unico diploma di riconferma ad ogni cambio di dinastia o in occasione di visite imperiali. Così:

  • 27 febbraio 1522 – il viceré Raimondo de Cardona vidima il fascicolo con tutti i vecchi privilegi.
  • 27 marzo 1523 – Carlo V firma la prima conferma.
  • 22 marzo 1536 – in seguito al passaggio del 1535, seconda conferma imperiale (il documento finito all’asta Christie’s e oggi reclamato dal Comune).

Queste riconferme mantenevano integra la validità giuridica del pacchetto aragonese, che fu poi ribadito anche da Filippo II (1588) e da Carlo II (1673). 

In concreto, cosa significò per La Cava?
  • Commercio agevolato: i cavesi potevano far circolare vino, grano, legname, stoffe e laterizi senza pagare dazi – un vantaggio che rese l’area un piccolo hub mercantile fra costa amalfitana e interno campano.
  • Autogoverno: il capitano cittadino gestiva gran parte della giustizia; l’università (il Comune) poteva eleggere i suoi ufficiali senza ingerenze feudali.
  • Difesa del “titolo regio”: lo status demaniale fu decisivo (ancora nel Seicento) per respingere i tentativi di infeudare la valle metelliana.

In breve, Carlo V con la concessione dei privilegi sigillò per sempre – con l’autorità dell’Impero – quelli ottenuti dai cavesi dopo la fedeltà aragonese del 1460, confermando alla città uno statuto fiscale e giurisdizionale di assoluto favore all’interno del Regno di Napoli.

Il “pacchetto” dei privilegi riconfermato

Ecco, in sintesi, quali furono i privilegi che Carlo V riconfermò alla “Città de la Cava” durante il suo passaggio del 1535, formalizzati poi nella pergamena di riconferma del 22 marzo 1536.

Identità civica

Facoltà di usare nello stemma cittadino le quattro bande rosse-oro della Casa d’Aragona e la corona reale.

Trasforma La Cava in “Città fedelissima” e la lega simbolicamente alla monarchia.

Fisco diretto

Riduzione del focatico (tassa per fuoco / nucleo familiare).

Meno imposte dirette per ogni famiglia.  

Tasse sui traffici

Esenzione da tutte le imposte indirette, gabelle, pedaggi, dogane e portolani “in tutto il Regno”.

I mercanti cavesi potevano comprare e vendere merci ovunque senza pagare dazi: un vantaggio economico enorme.

Dogana locale

Scissione della dogana di Vietri (allora frazione della Città de La Cava, oggi Vietri sul Mare) da quella di Salerno e nomina di un doganiere cavese.

La città controlla in proprio i dazi sull’ importantissima via costiera.

Giurisdizione

Diritto per i cittadini di essere giudicati dal capitano locale anche nel grado d’appello; in cause maggiori competenza del gran siniscalco, non dei tribunali feudali.

Autonomia giudiziaria e processi “in casa”, con minori costi e più garanzie.

(Il documento del 1460 cita anche concessioni individuali – ad esempio la licenza di esportare grano al giudice Bernardo Quaranta – che Carlo V prorogò, ma che non avevano valore collettivo.)